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Soldati quadrati questi Alpini. Se non hanno superato, di certo arrivarono l'eccellenza dei bersaglieri. Vennero qui dalle gole di Val di Tanaro, dove l'Appennino è più aspro e foresto, ed essi v'han le loro sedi e sanno i sentieri, i varchi; sin l'orme dei lupi. Là impararono a conoscere i nomi dei Piemontesi che, di rupe in rupe, contrastarono per quattro anni il suolo della patria ai Francesi, e a quali Francesi! Ora hanno dato una corsa qui, passi da difendersi esultando; e forse hanno inteso che come si faccia a starvi, lo insegnò Rampon nel 1796. Non v'è una pietra che segni il punto dove fu il forte del famoso combattimento. Eppure nel 1805 Napoleone decretò che qui, forse sul culmine su cui stette Rampon, fosse innalzato un monumento. E il sei fiorile dell'anno tredicesimo repubblicano, ne scriveva al general Berthier, in una lettera che anni or sono doveva essere pubblicata in Francia, dove si crede che il monumento sia stato eretto davvero, tanto che nel 1875 fu chiesto di là per via di consoli, se esistesse ancora e in quale stato; o se distrutto, in qual tempo lo fu, e in quali circostanze. Ma nessuno vide mai nulla: di monumenti questi montanari non ricordano, né hanno visto mai che i ripari di pietre formate dai Granatieri di Rampon; li hanno rispettati e li chiamano il ridotto.

Di qui si vedono i punti estremi della linea occupata dagli alleati nel 1796; e mentre il sole va sotto, si contano a certe oscurità tutte le valli che la tagliano via via. Era lunga dalla Bocchetta di Genova all'Argentiera più di cento miglia pei monti; vi campeggiavano trentamila Piemontesi e cinquantamila Austriaci; questi condotti da Beaulieu, quelli dal Colli. Intanto Buonaparte se ne veniva da Nizza lungo il mare, con ventottomila fanti, tremila cavalli, trenta cannoni e i suoi ventisei anni. Tesoro non se ne parlava; perché il Direttorio gli aveva dato una pizzicata di luigi come a uno scolaro, e ancora l'aveva incaricato di spartirseli coi vecchi generali che sarebbero stati suoi luogotenenti. I soldati erano mezzo nudi, pasciuti appena da reggersi ritti, mandati alla guerra da un governo che, per bocca del giovane generale, aveva dichiarato di non poter nulla per loro. Ma il generale aveva aggiunto di suo, che di qua dai monti v'erano le più belle campagne d'Europa, città ricche, abbondanza. Stanchi di assaettarsi a morire per i greppi della Provenza, quei soldati venivano lieti e cantando alla terra promessa.

Cose che sanno tutti, ma che io intesi da uno che conobbi vecchissimo, e nel 1796 aveva già più di vent'anni. I Francesi lo avevano colto vicino al Santuario della Misericordia di Savona, mentre se ne tornava a casa sua nei boschi. Invitato a servir loro di guida, non s'era fatto pregare. Diceva che erano stracciati e magri da far pietà, ma non feroci come li gridava la gente. Egli aveva parlato con Buonaparte e lo menzionava toccandosi il berretto; ma, ricordo vivissimo in cui si compiaceva, gli era rimasto il cavallino bianco montato da quel giovane magro, pallido, di capelli lunghi, i cui occhi tiravano come due pistole. «Pareva che quel cavallino avesse le ali, tanto correva veloce, qua, là, in cento punti: e lo seguiva un nugolo di cavalieri tutto oro e pennacchi, i diavoli e il vento». Così diceva quel vecchio tenendo gli occhi fissi come in una lontananza ideale. Forse si moveva laggiù la sua cara antica visione. Buonaparte aveva bisogno che la linea occupata dagli alleati rimanesse lunga qual era, per trovarla sottile nel punto da lui scelto a sfondarla; quel punto che egli aveva scelto attentamente due anni prima, nei due giorni che il corpo di Dumerbion, con lui per colonnello d'artiglieria, era stato in Dego, a riposare dal combattimento del Colletto, a far bottino della roba lasciata ivi dagli Austriaci di Wallis, fuggiti senza sconfitta. Curioso luogo di storia militare che meriterebbe d'essere spiegato. Che manata deve essere stata quella che si diede in fronte Beaulieu, all'alba dell'undici aprile 1796, quando, per le gole dell'Appennino gli giunse verso Genova il rombo delle cannonate da questi monti! Ed egli, rinforzata la Bocchetta e rimontata la Valle dell'Olba con undici battaglioni, aveva creduto di poter precipitare addosso ai Francesi, sorprendendoli in marcia lungo il mare, giù in quel di Voltri! Ma dunque Cervoni, quel maledetto generale còrso che si era avanzato sin lì, appunto il giorno avanti con tremila uomini, non era che uno scorridore? Dunque i Genovesi mandandogli a dire che i Francesi miravano a girar la sua sinistra, per guadagnar la Bocchetta, lo avevano ingannato? Certo il nemico gli si appuntava contro l'ala destra, là dove questa si annodava con la sinistra dei Piemontesi! Piantò Nelson, col quale era disceso in Voltri a concertare chi sa che operazioni; mandò gente verso questi monti, lungo e disperato cammino; egli stesso si mise in marcia per venire quassù. Povero Argentau, povero Roccavina, messi qui con poca gente, che sarebbe avvenuto di loro? E lui, addio la sua fama guadagnata nella guerra dei sette anni! Quel giorno che fu l'undecimo di aprile del 1796 Argentau, con dodicimila uomini, era venuto incontro ai Francesi, già stabiliti sulla piccola catena d'alture che sorgono, come gobbe, su questo dosso dell'Appennino. E aveva trovato che Roccavina (quello forse che lasciò il suo nome a un reggimento Croato, sciabolato da Genova Cavalleria, a Governolo, nel quarantotto), arrivato all'alba da Dego con duemila e cinquecento soldati, si era impadronito del colle delle Traversine. Allora egli diè dentro assalendo quello di Castellazzo, e quasi senza contrasto lo prese. I Francesi parevano agevoli quel giorno; due dei loro ridotti erano superati; rimaneva il terzo; questo di Monte Legino, a sbarrare il passo che giù per i fianchi rotti della montagna mette a Savona. Se si riesce a superare anche questo, l'ala destra dei Francesi rimarrà scoperta, e giù nella Valle del Letimbro. La Madonna della Misericordia, dal suo Santuario n'abbia pietà; se no gli Austriaci faranno un macello, che il sangue scolerà sino al mare. Ma su Monte Legino v'era Rampon. Chi passa giù nelle fondure del Letimbro, alzi gli occhi e saluti il profilo di questo ridotto, riconoscibile ancora da lontano: e si immagini i mille dugento soldati della ventunesima e della centodiciassettesima mezza brigata, che con i loro avanzi formarono poi la trentaduesima, nelle guerre napoleoniche chiamata la brava. So d'una vecchia incisione in legno che rappresenta il fatto, visto appunto dal passo del Letimbro, dove ora è il gran ponte della strada ferrata. Un gruppo dei cavalieri freddolosi con i mantelli indosso stanno lì sulla via che mena all'altura, e guardano questa cima coronata di fumo. Nel fumo v'è un movimento, quasi un brulichio. È rozza l'incisione, ma deve essere stata fatta su uno schizzo dal vero. Ai piedi, a guisa di medaglia, v'è il ritratto di Rampon. All'aspetto pare che fosse un uomo austero. Aveva gli occhi grandissimi, il naso a filo, carnoso, il mento sporto, i capelli acconciati sulla fronte grande. Vestito dei panni d'allora, con quel soprabitone giacobino dalle mostreggiature larghe, dal bavero che dava su alla nuca, dalle falde che battevano sotto le polpe; con quella lucerna piumata in capo, qui ritto sul culmine, circondato da quel migliaio d'uomini, vestiti e piumati come lui, dev'essere stato d'una grandezza sovrumana, quando tuonarono il giuramento di voler morir tra quei sassi, piuttosto che darsi vinti. Viva la Repubblica! urlarono in mille. Gli Austriaci, che poterono udire quel grido, nel frastuono delle fucilate, si sentirono come tirati dalla voragine della morte, e si avventarono risoluti e gravi la terza volta. Dal petto in sù i Francesi sorgevano, ma non tiravano. Essi, non avendo più cartocci, aspettavano con le baionette incrociate. Allora gli Austriaci investirono a capo basso come tori; ma quel muro di petti non fu possibile romperlo. Ributtati, rotolarono morti feriti, fuggenti; ne furono trovati sin nel greto del Letimbro laggiù, orribile salto, quei che lo fecero in sensi. Argentau trasse le sue genti indietro, e le postò in luogo di dove parve dire: A domani! Rampon ebbe un po' di respiro. Chi conoscesse qui attorno il punto vero dov'egli si stese a passa la notte! A domani, dunque. Ma l'indomani Massena, Augereau, Laharpe, arrivarono diritti come falchi, questi di fronte, quelli di fianco agli Austriaci. Laharpe, alle cinque del mattino, che d'aprile e ancor notte, assale Argentau: questi, superiore di forze, crede di potergli ruinare addosso e precipitarlo giù nei burroni. Ma Augereau e Massena lo urtano improvvisi, irresistibili, nel fianco destro e quasi nelle spalle; vuole far fronte da tutte le parti; è inutile; cominciò la rotta, divenne un eccidio. Egli e Roccavina, feriti, poterono a stento fuggire, cacciandosi per quella valle dell'Erro là, angusta, tetra, spaventosa. Dei loro soldati duemila caddero prigionieri, mille e cinquecento giacquero morti; tanti corpi, che di nati tra questi monti, non ne tornano alla terra altrettanti in tre secoli; diecimila dispersi andarono come lupi a branchi, alla ventura per le selve; un migliaio rimasti uniti si ritirarono coi Francesi alle reni, urlanti per quelle gole. Che pensiero in quell'ora, che sgomento la patria lontana! Bisognava aver uditi i vecchi, ultimi testimoni della rotta, quando narravano queste cose nel rozzo ma pittoresco e vigoroso linguaggio di questi monti! Ora son tutti morti, e la prima Compagnia Alpina passò senza la consolazione di averne trovato uno che potesse dire d'aver veduta la gran tragedia.

Da Montenotte a Dego, si va tra faggi e castagni che, tormentati dai vènti marini, empiono le solitudini di un clamore monotono, tedioso, come di cascate d'acque molte e lontane. Si incontrano casolari ai varchi, sulle vette, in grembo ai valloncelli verdi; e che bei nomi! Quel tetto che si vede laggiù, è d'una casa di coloni chiamata «l'Amore». Date un'occhiata a sinistra. Li vedete quei massi che l'uno sopra l'altro sembrano un tumolo di chi sa qual uomo favoloso? Ebbene, là sotto v'è una spelonca dove, cara leggenda, Adelasia visse i suoi amori con Aleramo. Quella casetta laggiù in quel fondo, tra quei castagni spanti che sembrano secoli, presso quel torrentello che va via luccicando come corresse argento colato, la chiamano «l'Erede» e vi nasce la bellezza. Da generazioni, maschi e femmine, tutti statue greche in quel tugurio, in quel bosco! E suonano da tutte le parti canzoni che cercano il cuore, fanno invidiare la semplice vita di quella gente, dànno persino un senso vago dei tempi feudali. Udite?   Er fieu du re l'è 'ndà spassagèe In s'ra riva der mar; U n'a sentì na certa vux; Chi a r' è sa li ca canta? Sa li ca canta a n'è pa per vui, R'è dona marideja. O marideja o da maridèe Ra veui per ra me spusa. Anche vibra talora la nota eroica.   A ji spettruma in zima ar zuvu, A i daruma 'r bragg du luvu!... Per chi poi, contro chi, i versi feroci del canto che tutto insieme, nel dialetto originale, arde d'un patriottismo quasi barbaro, ma grande? Per quei monti furono sotterrati tanti Francesi! Giù, giù, sempre per borri selvaggi, si arriva a Dego, alle strette di Dego, fatte per le stragi umane. Su quel colle di Magliani, coronato di casette esultanti nella loro povertà come anime pie, quanti Francesi e quanti Austriaci videro l'ultima luce, provarono l'ultima angoscia, rimanendo a farsi polvere nel terreno rosso, che si direbbe divenuto così dal tanto sangue bevuto! Lassù vidi Vittorio Emanuele nel 1875, su d'un baio che per i greppi vinceva le capre. Ma non era allegro quel giorno il Re. Forse lo opprimeva il cumulo delle memorie; forse si ricordava d'un veterano di Napoleone che nel 1851, in quel luogo, gli si era fatto alla staffa per salutarlo, a dirgli, richiesto, la propria vita. E che aveva guerreggiato in Ispagna cinque anni, sotto il maresciallo Suchet; e che nel 1821 era stato portabandiera del reggimento Alessandria a Novara; e che travolto nella rotta dell'Angrogna s'era condotto, fuggendo, a piedi sino a Ponzone in quel d'Acqui, portando seco l'insegna che non aveva voluto lasciarsi levar di mano da nessuno, salvo che dal Vescovo. Chi sa cosa pensasse il Re, se gli tornava a mente quell'antico rivoluzionario, devoto a suo padre e così buon diocesano? A Dego cominciò la fortuna di Lannes. In quell'ufficiale che conduceva così accorto ed ardito il suo battaglione contro il ridotto dei Magliani, l'occhio di Buonaparte indovinò il futuro duca di Montebello. Nel campo di Dego, la notte dopo il fatto d'armi, il giovine colonnello Muiron sognò d'aver salvata la vita al generale in capo, e di aver vista la Morte dare la posta a lui, per un'altra volta. E la morte lo colse ad Arcole pochi mesi di poi, appunto mentre egli copriva col proprio petto l'Eroe; l'Eroe che dopo tanta e sì lunga fortuna, caduto, si ricordò di lui, e voleva pigliarne il nome, per andar a vivere solitario al focolare del popolo inglese. Dolce ritorno di sentimenti umani nel cuor di quell'uomo che era parso un Dio. E a Dego, il 15 aprile, quando Wukassovich, ancora sbandato da Montenotte, arrivò tempestando sopra i Francesi sdraiati nella vittoria del giorno avanti, cadde il generale Causse menando alle difese un pugno d'audaci. Fu portato via morente. Buonaparte gli passò vicino. - «Dego è ripreso?» domandò il ferito con voce spenta. E Buonaparte: «Il ridotto sì!» - «Allora, viva la Repubblica! muoio contento!» disse Causse con le ultime forze, e spirò consolato dalla bugia generosa di Buonaparte. Bugia, perché appunto in quel momento Wukassovich si cacciava dinanzi come turbine i Francesi; e li sbaragliava se non arrivavano Victor, Masséna, Menard, Cervoni, tutti. Ond'egli, l'eroico vendicatore, dovè ritirarsi rotto, perseguitato, perdendo bagagli, armi, soldati: miracolo se potè giungere in Acqui vivo. Quelli i gloriosi. Ma le migliaia di gregari, i morti compendiati in una cifra, tutto quello strazio di carne innominata per i cinque o sei nomi che la storia tramandò? Pensiero cupo dei soldati che camminano, collo zaino sul dorso, per le strade polverose, taciturni, lontani dalle case ove nacquero. Ma gli Alpini che passarono nella mia vallata, forse non tutti avevano il capo alle cose lugubri, né alle glorie dei guerrieri illustri rammentati ancora dai valligiani. Erano pieni d'altri affetti vivi e presenti. A ogni passo madri, sorelle e persone di più tenero desiderio, si facevano incontro alla Compagnia, cercando sotto quei cappelli delle faccie care. La gran patria è augusta e dolce al pensiero; ma il cantuccio di essa dove si nacque, il nostro cuore è tutto per esso. E più qua, più là, quei soldati erano tutti nativi di questi monti. Oh! dove ad ogni occhiata si scopre un punto conosciuto nei boschi, nei campi, nei sentieri biancheggianti traverso i fianchi d'un monte lontano; un punto da cui si rifà qualche memoria nostra, qualche nostra passione; ivi sì che da soldati si combatterebbe con animo grande, saputi vicini da chi conosce tutta la nostra vita, forse sotto gli occhi della donna amata! Di quest'animo dovè essere il cavalier Del Carretto, quando circondato da soldati suoi paesani, quasi nel bel mezzo delle Langhe, veduto, sto per dire, da tutte le torri feudali piantate su per quelle vette lontane e vicine, possessioni antiche dalla sua gente, nel castello rovinato di Cosseria, aspettò l'assalto dei Francesi e la morte. Vi era venuto dalla valle del Tanaro, pieno di mesti presentimenti. Un giorno, mentre marciavano sotto la pioggia, un sergente molto amato da lui e campato poi vecchio sino al 1859, molle sino alla pelle, inzaccherato, stanco morto aveva osato dirgli: «Che vita le tocca, signor cavaliere, lei che poteva starsene tranquillo nel suo palazzo di Torino, coi piedi al fuoco!». Il cavaliere si era mosso come a una puntura e al sergente aveva intimato di tacere: ma poi battendogli sulla spalla aveva soggiunto dolcemente: «Dimmi, tu ed io chi ci ha più roba al sole? Oh! lei senza dubbio; io sono un poveretto. Ebbene, avrei potuto starmene al fuoco, nel mio palazzo? Eppure là v'è mia moglie, v'è il mio figliuolo... Senti, lasciamo andare questi discorsi; e quando una palla m'avrà ammazzato, allora dirai: ecco, il cavaliere è tranquillo». Diceva quel vecchio sergente, che il cavaliere Del Carretto era un giovane bellissimo, non molto gagliardo ma fiero, sempre taciturno e scontento forse per cose domestiche. A Cosseria fra le rovine del castello che fu dei suoi vecchi, colto da una palla nel petto, cadde nelle braccia dei suoi granatieri, molti dei quali lo avevano visto fanciullo. Ora v'è una lapide lassù posta nel 1860, l'anno in cui tutto sentì come un grande risvegliamento. In essa è scritto di lui, di Bannel, di Quesnel generali francesi, morti nemici e mescolati ora nella pace soave di quell'altura, dove io da giovinetto andava da lungi a leggere la Capanna dello Zio Tom, piangendo a quel grido d'angoscia che ci veniva dalla grande America, e ignorando il gran cuore che si era spento lassù mezzo secolo prima. Non sapeva che qualcuno dei teschi nascosti fra i rovi che tutte avvolgono quelle mura cadute, poteva essere stato la testa bella, malinconica e ardita di quel cavaliere. L'antico sergente non me ne aveva parlato.

Un giorno un generale prussiano, vecchio sopra i settanta, il signor Fritz de B... fece la salita del castello di Cosseria, e la rifece poi tre o quattro volte, ostinato a capacitarsi del come i Francesi abbiano potuto assaltarlo. Aveva carte e libri tutti note nei margini; interrogò, cercò. Ma tant'è, diceva, quell'assalto come lo narrano le storie, mi pare una storia da tori furiosi. - Badi, gli fu detto poi, badi che il vero assalto deve essere stato dato da nord. Ella ha visto che da quella parte la salita è meno erta; che le mura del castello vi sono più basse; che ivi soltanto possono essere superate senza scale; e sa che Joubert fu ferito appunto mentre con sette de' suoi saliva... Ora Joubert arrivava da quella parte. «Così dovrebbe essere, diceva il prussiano, ma la storia non lo dice. Ma si sa che Joubert, la sera del dodici aprile, appena sceso da Montenotte, fu mandato da Buonaparte ad occupare il colle di Santa Margherita che è quello là... a nord-est del castello...». E il prussiano a studiare. Fosse stato ancor vivo il sergente del battaglione Del Carretto, che preziose notizie avrebbe potuto dargli! Egli raccontava che la notte dal 12 al 13 aprile, conosciuta la rotta degli Austriaci a Montenotte, un corpo staccato dall'esercito di Colli, aveva camminato nella valle della Bormida tra Millesimo e Cengio, per andarsi a congiungere con quelli verso Dego. Ma all'alba, attaccato dai Francesi a destra e a sinistra, il comandante Provera si dibattè in quella stretta, avendo la Bormida alle spalle ingrossata improvvisamente, e i monti a petto dinanzi. Rotto, non vide scampo che sopra quella vetta di Cosseria, e vi trasse quanti potè dei suoi. Fra quelle rovine si piantarono risoluti a starvi sino alla morte. Di lassù vedevano Dego difesa dagli austriaci, vedevano a destra Montezemolo dov'era Colli accampato, un triangolo di cui essi occupavano il vertice formidabile. Quel sergente, dopo sessant'anni, vedeva ancora il parlamentario francese salito a portare l'intimazione di Buonaparte, e narrando stringeva i pugni. Gli pareva di udir Provera rispondere modesto e sicuro, che non si sarebbe mosso, se non a patto d'esser lasciato andar libero a raggiungere l'esercito di Colli; e accertava che mentre Provera rispondeva, il cavaliere Del Carretto gli stava ai panni come per mettergli il proprio spirito in corpo. A Buonaparte sarebbe convenuto accordarlo quell'onore dell'armi; perché trattenuto alle falde di quella bicocca, rischiava di far mancare gli aiuti a Masséna, se ne avesse avuto bisogno a Dego, dove già era alle prese. Ma no. Lo lasciò detto un prete che giovanetto l'udì presente. Ricevuta la risposta di Provera, Buonaparte esclamò in italiano «Oh:... vuol imitare Rampon? Ebbene... cannonate!» Allora dal colle che sta di faccia al castello verso ponente, il cannone cominciò a tirare; ma i piemontesi non risposero perché senza artiglierie. E senza artiglierie, senza pane, senza acqua; chiusi tra quelle mura diroccate col loro coraggio, tennero fermo sino alla sera. Il sole cominciava a calare quando Augereau, lasciato là da Buonaparte che era corso a Dego, comandò d'assaltare il castello. Bannel, Quesnel e Joubert marciarono alla presa, su per i tre contrafforti che si annodano a quella specie di cono su cui sorge il castello e gli dànno forma di tripode. Joubert veniva dal contrafforte a nord, e a mezza via fece sosta per dare un po' d'aria ai soldati. Bannel e Quesnel, dai due altri contrafforti, videro e sostarono anch'essi. I Piemontesi, credendo che mancasse ai nemici l'ardire d'andar più sù urlarono di gioia; e cominciarono a far tombolar giù grandi massi che rovinando per i fianchi quasi a picco del colle squarciarono, scompigliarono i Francesi, n'uccisero o ferirono più d'un migliaio in un quarto d'ora. Alla tragedia si mescolò lo scherno. In faccia ai più avanzati assalitori furono lanciate le interiora d'un bove sottratte alla fame di chi le avrebbe divorate lassù. Bannel e Quesnel morirono in quel punto. Ma Joubert che saliva per un pendio più agevole, potè arrivare sino alle mura. E già con sette de' suoi v'era sopra, quando una pietrata in faccia lo rovesciò per morto sul tiro. Allora fu una fuga giù giù sino alle più basse piaggie boscose. Su in alto esultavano i difensori nell'ultima gloria. Augereau invelenito fece asserragliare con botti, con carri, con tronchi d'alberi tutti i passi al castello; a mezzo tiro di schioppo piantò i cannoni.

 

Stämmige Soldaten sind es, die Gebirgsjärger der Alpen.  Wenn sie sie nicht übertroffen haben, so haben sie die Vortrefflichkeit der Infanteristen erreicht. Sie kamen aus den Schluchten de Tals von Tanaro, wo der Apennin rauher  und bewaldeter ist. Dort wohnen sie und kennen die Wege,  die Übergänge und die Fährten der Wölfe.  Dort lernten  sie die  Namen von den Piemontesern, verteidigten vier Jahre lang den Boden des Vaterlandes, Fels für Fels, gegen die Franzosen!  Und was für Franzosen!  Jetzt haben sie sie in die Flucht geschlagen, haben mehr gemacht, als sich jubelnd zu verteidigen. Und vielleicht hat Rampon (General unter Napoleon, nahm am Italienfeldzug teil und schlug die Österreicher)  ihnen 1796 gelernt,  wie man das erreicht. Es gibt keinen Stein, der den Ort markiert, wo die Festung der berühmten Schlacht war. Jedoch hat 1805 Napoleon befohlen, vielleicht auf dem Gipfel auf dem Rampon stand, ein Denkmal errichtet würde. Am sechsten Floréal (Zeitrechnung französicher Kalender, entspricht April / Mai) des 13. Jahres republikanischer Zeitrechnung,  schrieb er darüber in einem Brief an General Berthier, der Jahre später in Frankreich veröffentlicht werden sollte. Von daher glaubt man, dass dieses Denkmal tatsächlich errichtet worden war. Man fragte also von jenseits der Alpen durch die Konulare nachfragen, ob es noch existierte oder wenn es zerstört worden war, in welchem Zustand es sich befände. Doch nie sah irgendjemand irgendetwas. Die Bergbauern konnten sich nicht an ein  derartiges Monument erinnern und hatten auch nie etwas anderes gesehen,  als die Unterstände, die die Grenadiere von Rampon errichtet hatten. Sie hatten ihnen Achtung entgegen gebracht und nannten sie ridotto. Von  hier aus sieht man die vordersten Punkte des Gebietes, dass die Allierten 1796 besitzt hielten. Und wenn die Sonne untergeht, kann man in der Dämmerung alle Täler sehen, die sie durchschnitten.  Sie reichte von der Bocchetta von Genua bis zur Argentiera. Mehr als hundert Meilen über die Berge. Hier kampierten dreißig Tausend Piemonteser und fünfzigtausend Österreicher. Diese wurden von Beaulieu angeführt, jene von Colli.  Unterdessen kam Napoleon mit dem Seeweg von Nizza. Mit achtundzwanzig Infanteristen, dreitausend Pferden, dreißig Kanonen und seinen 26 Jahren.  Von Schätzen war keine Rede, weil das Direktorium (Regierung  in Frankreich von 1795 bis 1799) ihm wie einem Schüler  lediglich eine Handvoll Louis d‘ Or.  Zudem hatten sie ihm aufgetragen, sie mit den alten Generälen, die seine Stellvertreter sein sollten, zu teilen. Die Soldaten ware halbnackt, kaum so genährt, dass sie sich aufrecht halten konnten und von einer Regierung in den Krieg geschickt, die, nach Angaben des Generals, erklärt hatte, nichts für sie tun zu können. Doch der General hatte etwas hinzugefügt, dass s dort jenseits der Berge die schönsten Ländereien Europas gäbe, reiche Städte,  Überfluss.  Da sie es satt hatten auf den Felsen der Provinzen zu darben, kamen diese Soldaten fröhlich und singend ins gelobte Land.

All dies sind Ding, die jeder weiß, die ich jedoch von jemandem erfuhr, den ich in hohem Alter , im Jahre 1796 war er schon zwanzig Jahre alt kennenlernte.  Die Franzosen hatten ihn in der Nähe der Kapelle der Barmherzigkeit aufgegriffen, als er durch die Wälder nach Hause ging. Aufgefordert ihnen als Führer zu dienen, hat er sich nicht bitten lassen. Er sagte sie seien so heruntergekommen und abgemagert gewesen, dass sie Mitleid einflößten, doch nicht furchtbar, wie die Leute es von ihnen sagte.  Er sprach, und als er dies erwähnte fasste er sich an den Mütze, mit Buonaparte. Mit Wohlgefallen erinnerte er sich an das kleine weiße Pferd, dass von diesem mageren, jungen Mann mit langen Haaren und zwei Augen wie Pistolen geritten wurde. „Es schien, als hätte diese Pferdchen Flügel, so schnell rannte es hierhin und dorthin, zu hundert Stellen. Ihm folgte  eine Schar von Reitern ganz Gold und Federbusch,  die Teufel und der Wind.“  So sprach der Alte, während er die Augen in die Ferne richtete, wie zu einem entfernten Ideal. Vielleicht bewegte sich dort seine alte Vision.  Für Buonaparte war es wichtig, dass die von den Alliierten besetzte Zone so lang blieb, wie sie war, damit sie an der Stelle, die er ausgewählt hatte um sie zu durchbrechen, dünn war.  Diesen Punkt hatte er sorgfältig zwei Jahre vorher, in den zwei Tagen,  in denen er mit dem Korps, dem er als Kolonnell vorstand, in Dego weilte um sich von der Schlacht bei Coletto auszuruhen und sich die Beute,  die die Österreicher  von Wallis, die geflohen waren ohne besiegt zu sein, hinterlassen hatten, sorgfältig ausgesucht.  Ein merkwürdiger Ort der Militärgeschichte, der es verdient besser erklärt zu werden. Welch ein Schlag musste es gewesen sein,  den  Beaulieu (österreichischer General)  erhielt, als ihn  durch die Schlucht des Apennin in Richtung Genua   das Donnern der Geschütze von diesen Bergen erreichte!  Wo er doch geglaubt hatte, nachdem er Bocchetta  befestigt und das Tal dell‘ Olba mit 11 Battaglionen hochgezogen war, die Franzosen von hinten, sie auf ihrem Marsch, unten in Voltri, entlang des Meeres überraschend, angreifen zu können!  War nicht Cervoni, dieser verdammte korsische General, der am Tag vorher  mit dreitausend Männern vorgerückt  bis hierher vorgerückt war, nur ein Kundschafter?  Die Genueser, die ihm hatten ausrichten lassen, dass die Franzosen versuchten, an seiner linken Flanke vorbeizuziehen um Bocchetta zu erreichen,  hatten ihn also betrogen?  Der Feind zielte auf den rechten Flügel, da wo dieser sich mit dem linken der Piemonteser verband!  Er ließ Nelson im Stich, mit dem nach Voltri hinabgestiegn war um wer weiß welche Operationen zu besprechen. Schickte Leute in diese Berge, was ein langer und mühsamer Weg war. Er selbst machte sich auf den Weg nach da oben. Armer Argentau, armer Roccavina, dort mit wenig Leuten zurückgelassen, was ist mit ihnen passiert? Und er? Verblichen war damit sein Ruhm, den er sich im siebenjährigen Krieg erworben hatte! An diesem Tag, dem 11. April 1796, ging Argenteau (eigentlich Mercy-Argenteau, österreichischer Feldmarschall, geb. 1743 in Huy, gest. 1819 in Wien) mit 12000 Mann den Franzosen entgegen, die sich auf einer kleinen Gebirgskette, die sich wie ein Höcker erhob, au diesem Rücken des Apennin festgesetzt hatten, entgegen.  Er war auf Roccavina (ein anderer österreichischer Offizier) gestoßen (vielleicht jener, der seinen Namen einem kroatischen Regiment gab, das vom Regiment Genova Cavalleria im Jahre achtundvierzig niedergemäht worden war), der im Morgengrauen aus Dego mit zweitausendfünfhundert Soldaten angerückt war und sich der Gipfel von Traversine bemächtigt hatte. Er ging weiter und griff den Hügel von Castellazzo an, den er fast ohne Widerstand nahm. Die Franzosen schienen an diesem Tag träge. Zwei ihrer Schanzen wurden überwunden, blieb noch die Dritte, die von Monte Legino, die dem den Weg versperrte, der unten an den Steilhängen der Berge entlang nach Savona gehen wollte. Wenn man diesen auch noch erobern könnte, wäre der rechte Flügel der Franzosen bis zum Tal von Letimbro  offen.  Möge die Madonna der Barmherzigkeit ihrer Kirche Erbarmen haben. Wenn die Österreicher ein Gemetzel veranstalten, wird das Blut bis zum Meer fließen. Doch auf dem Berg Legino war Rampon. Wer  durch die darunterliegende Tiefebene läuft, möge die Augen erheben und die Umrisse dieser Schanze grüßen, die noch heute aus der Ferne zu erkennen ist. Möge sich die tausendzweihundert Soldaten der einundzwanzigsten und der einhundertsiebzehnten Halb-Brigade vorstellen,  die Später mit ihrer Vorhut die dreihundertundzweite Kompanie formten, die in den napoleonischen Kriege die Tapfere hieß. Ich weiß von einer alten Holzinschrift, die das Ereignis schildert und die man vom Pass Letimbro aus sehen kann. Sie befindet sich da, wo sich heute die große Eisenbahnbrücke befindet. Dort stand, in ihren Mantel gehüllt,  eine Gruppe frierender Kavalleristen auf der Straße, die zum Gipfel führte und schaute nach oben. Die Inschrift ist grob, muss aber nach einer richtigen Vorlage gemacht worden sein.  Auf der Unterseite ist, in Form einer Medaille, ein Bildnis von Rampon. Er schien, ging mach nach seinem Äüßeren, ein ernster Mann zu sein. Er hatte sehr große Augen, eine schmale Nase, ein vorspringendes Kinn. Die Haare fielen ihm über die große Stirn. Er trug Hosen, wie man sie damals trug, mit einem ausgebeulten Jakobinermantel  mit großen Rangabzeichen, mit einem Kragen, der bis zum Genick ging, mit den Frackschürzen, die an die Schenkel schlugen. Mit diesem Federbusch auf dem Kopf, aufrecht stehend auf dem Gipfel, umgeben von diesen Tausend Männern, die genau so gekleidet und den gleichen Federschmuck trugen wie er, muss er von einer übermenschlichen Größe gewesen sein, als wie ein Donner der Schwur erklang, dass sie lieber zwischen diesen Felsen sterben wollten, als sich geschlagen zu geben. „Es lebe die Republick!“, schrien sie.  Die Österreicher, die diesen Schrei  im Getöse der Gewehrsalven hören konnten, fühlten sich wie im Todesrausch und wagten sich entschlossen und ernst an den dritten Gang. Die Franzosen waren von der Brust aufwärt sichtbar, schossen aber nicht. Da sie keine Patronen mehr hatten, warteten sie mit aufgesteckten Bayonetten.  Jetzt  griffen die Österreicher an mit gesenktem Kopf wie Stiere, doch diese Mauer aus Körpern war nicht zu durchbrechen.  Sie wurden zurückgeworfen, stürzten tödlich getroffen zu Boden, flüchteten.  Man fand die, die es noch bei Bewußtsein taten in der Kiesgrube von Letimbro,  schrecklicher Sprung in die Tiefe.  Argenteau zog seine Leute zurück und brachte sie an einen Ort, wo er zu sagen schien: Bis morgen! Rampon hatte ein kurze Atempause.  Wer kennt den tatsächlichen Ort, wo er sich für die Nacht hinlegte! Bis Morgen also. Doch am nächsten Morgen kamen zielstrebig wie Falken Massena, Augereau, Laharpe, dieser von vorne und jene von der Seite der Österreicher.  Laharpe griff die Österreicher um fünf Uhr am fünften April, als es noch Nacht war, an.  Dieser glaubte, weil er in der Überzahl war, sie vernichten und und die Abgründe stürzen zu können.  Aber Augereau und Masseno  griffen urplötzlich, unwiderstehlich in die die Rechte Flanke und fast in den Rücken.  Er wollte sich gegen alle Seiten wehren, doch es war vergebens.  Das war der Anfang vom Ende, es wurde ein Gemetzel.  Er und Roccavina konnten unter Mühen entkommen, indem sie in das Tal des Erro flohen, eng, düster, entsetzlich. Von ihren Soldaten wurden zweitausend gefangen genommen, tausendfünfhundert starben. Soviele Körper,  die zwischen diesen Bergen geborenen eingeschlossen ,  kehrten in dreihundert Jahren nicht mehr in diese Gegenden zurück. Zehntausende streunten wie Wölfe ziellos durch die Wälder. Einige tausend, die zusammengeblieben waren zogen sich, die in den Tälern schreienden Franzosen im Nacken, zurück.  Welche Gedanken hatten sie in dieser Lage,  wie schrecklich die weit entfernte Heimat! Man hätte die Alten hören müssen, letzte Zeugen dieser Niederlage, als die mit ihrer rauhen aber malerischen und kräftigen Sprache dieser Berge davon erzählten! Jetzt sind alle tot, und die erste Kompagnie Compagnia Alpina  ging ohne den Trost,  einen getroffen zu haben, der die große Tragödie noch  miterlebt hatte,  vorüber. Der Weg von Montenotte nach Dego geht durch Buchen und Kastanien , die, den maritimen Winden ausgesetzt, die Einsamkeit mit einem montonen, hässlichen Geräusch ausfüllen, wie Wasserfälle in der Ferne. An den Übergängen zu den Gipfeln im Schoß der  kleinen Täler standen heruntergekommene Häuser. Und was für Namen! Das Dach, das man da unten sieht , ist das Haus eines Pächters und heißt „die Liebe“.  Schaut nach links. Dort seht ihr aufeinandergestapelte Felsen.  Scheinen sie nicht  wie ein Grabmal irgendeines einer Fabel  entsprungenen  Mannes ?  Und da unten ist eine Hütte, von der die Legende sagt,  dass Adelasia sich hier mit Aleramo ein Stelldichein gegeben habe.  Dieses Häuschen in der Tiefe, zwischen den Kastanienbäumen, die dort schon seit Jahrhunderten ausgebreitet schienen,  in der Nähe des Baches, der glitzerte, wie wenn Silber strömen würde, nennen sie „der Erbe“ und dort hat die Schönheit ihren Ursprung. Seit Generationen, Männer wie Frauen, griechische Statuen in diesem Wald! Von überall her erklingen Lieder, die das Herz suchen, Sehnsucht erwecken nach dem einfachen Leben dieser Leute, die sogar einen vage Vorstellung geben von der Zeit der Feudalherrschaft. Hört ihr? Der Sohn des Königs spazierte an den Ufern des Meeres Da hörte er eine Stimme "Wer ist es, der da singt?" "Die die singt ist nicht für dich, es ist eine verheiratete Frau" "Ob sie verheiratet ist, oder noch verheiratet werden muss, ich will sie zu meiner Frau" Manchmal erklang auch ein heldenhafter Unterton. Wir erwarten sie auf der Spitze des Bergsattels Wir werden ihnen den Schrei des Wolfes geben Für wen und gegen wen waren diese schrecklichen Verse,  geschrieben in ihrem ursprünglichen Dialekt,  die glühten in einem  barbarisch, aber großen Patriotismus ,  gerichtet? In diesen Bergen lagen so viele Franzosen begraben! Geht man weiter hinunter, immer weiter hinunter, über wilde Pfade, gelangt man nach Dego, die engen Schluchten von Dego,  die wie gemacht schienen für die menschlichen Blutbäder.  Wiewiele Franzosen und Österreicher schlossen hier für, auf jenen Hügeln von Magliani, bekrönt von Häusern, die wie fromme Seelen ihre Armut priesen,  schlossen hier für immer die Augen, durchlebten hier die letzte Angst, blieb da und auf dem,  durch das Blut, das er getrunken hatte,  roten  Grund zu Staub zu zerfallen! Dort unten sah ich im Jahre 1875 Vittorio Emanuele, auf einem Pferd, das gewander als eine Ziege über die Felsen sprang. Doch der König war an diesem Tag nicht glücklich. Vielleicht wurde er von der Fülle der Erinnerungen erdrückt. Vielleicht erinnerte er sich an einen Veteranen Napeleons, der 1851, an diesem Ort, an den Steigbügel trat um ihn zu grüßen, der ihm, gefragt was er wolle, sein Leben bot. Daran, dass jener unter dem Mareschal Suchet fünf Jahre in Spanien gekämpft hatte und dass er im Jahre 1821 der Fahnenträger des Regiments Alessandria in Novara war. Dass er, nach der Zerschlagung durch die Niederlage von Angrogna zu Fuß, auf der Flucht bis nach Ponzone in Acqui gegangen war, immer das Banner in der Hand, welches er sich von niemandem außer des Bischof hat entreißen lassen.  Wer weiß, was der König dachte und ob ihm dieser alte Revolutionär in den Sinn kam,  der so treu seinem Vater und ein so guter Christ war? In Dego begann das Glück von Lannes.  In diesem Offizier der sein Battaglion so umsichtig und kühn gegen die Rampe von Magliani führte, erkannte das Auge  Buonapartes den zukünftigen Graf von Montebello.  Auf dem Feld von Dego, nach dem Waffengang, träumte der junge Kolonnel Muiron davon, dass er dem befehlshabenden General das Leben gerettet hatte und dass er den Tod gesehen hatte, der ihn noch einmal verschont hatte.  Der  Tod packte ihn einige Monat später in Arcole, als er mit der eigenen Brust die Brust des Helden bedeckte. Der Held, der  nach langer Zeit, in der das Glück ihm beistand, gefallen ist, sich an ihn erinnerte und seinen Namen wissen wollte um dann einsam am Herd des englischen Volkes zu leben.  Süßes Zurückströmen von menschlichen Gefühlen in das Herz jenes Mannes, der ein Gott schien.  Und als in Dego am 15 April  Wukassovich, noch erschöpft von Montenotte (Österreichischer General  geb. 1755, gest.1809. Kam wegen eines Irrtums im Datum zur spät zur Schlacht, die eigentich die Franzosen schon gewonnen hatte.  Verwirrte aber mit seinen fünf Battaillonen die Franzosen derart, dass er 300 Gefangene machen konnte und 18 Kanonen erobern konnte. Mit diesen leistete er dann zwei Stunden Widerstand gegen die gesamte französische Armee bis er sich zurückzog. Napoleon selbst bewunderte ihn.) über die Franzosen herfiel, die ihren Sieg genossen, den sie am Tag vorher errungen hatten, fiel General Causse, der ein Handvoll Kühner zur Verteidigung anführte.  Sterbend wurde er weggeführt. Buonaparte kam dicht an ihm vorbei. „Ist Dego wiedererobert worden?“, fragte der Verwundete mit erloschener Stimme. Und Buonaparte antwortete: „Die Schanze ja!“. „Hoch lebe die Republik! Ich sterbe zufrieden!“,  sagte Causse mit letzter Kraft und verstarb von der großzügigen Lüge Buonapartes getröstet.  Eine Lüge war es, weil in genau diesem Moment Wukassovich wie ein Wirbel die Franzosen vor sich herjagte und er hätte sie niedergeworfen, wenn nicht in diesem Moment Victor, Masséna, Menard , Cervoni gekommen wären , wodurch der heroische Rächer sich flüchtend,  Gepäck, Waffen, Soldaten zurücklassend,  zurückziehen musste. Es ist ein Wunder, dass Acqui lebend erreichte. Das waren die Helden. Doch die Masse an Namenlosen, die Toten, die nur durch eine Zahl dargestellt werden. Diese ganzen Qualen des ungenannten Fleisches für die fünf oder sechs Namen die die Geschichte überdauern?  Düstere Gedanken der Soldaten, die den Rucksack auf dem Rücken über die staubigen Straßen marschierten, fern der Häuser, wo sie geboren wurden.  Doch die Kompagnie der Alpen die durch mein Tal kam, hingen vielleicht nicht alle solchen traurigen Gedanken nach und auch dachten auch nicht an den Ruhm der berühmten Krieger,  an die sich die Bewohner des Tales noch heute erinnern. Sie waren ganz erfüllt von anderen Gefühlen, lebendig und sich auf die Gegenwart beziehend. Bei  jedem  Schritt voran kamen ihnen Mütter, Schwestern und Personen mit den zärtlichsten Gefühlen entgegen, die unter diesen Hüten geliebte Gesichter suchten.  Das große Vaterland war engherzig und sanft in Gedanken. Doch das Fleckchen Erde wo man auf die Welt kam, für das schlägt unser Herz. Und alle Soldaten, der eine weiter der andere näher, waren in diesen Bergen geboren worden.  Oh!  Da, wo man bei jedem Blick in den Wäldern, den Feldern, den Pfaden aufleuchtend zwischen den entfernten Bergen einen  bekannten Punkt erspäht. Ein Punkt, der eine Erinnerung, eine Leidenschaft erneuert. Dort, in der Nähe derer, die unser Leben kennen,  würde man als Soldat wirklich entschlossen kämpfen.  Vielleicht unter den Augen der geliebten Frau! In dieser Stimmung muss  der Kavaleriest Del Carretto gewesen sein, als er umgeben von seinen Soldaten,  inmitten der Langhe, als er sich,  während die Türme aus der Feudalzeit, die auf den nahen und entfernten Bergen standen,  ehemalige Besitztümer seiner Leute, in der Burgruine von Cosseria, ihn sozusagen betrachteten, befand und den Angriff der Franzosen und den Tod erwartete. Er war, mit Gefühlen, die miteinander rangen, aus dem Tal von Tanaro gekommen. Eines Tages hatte  ein Sergeant, den er sehr gerne hatte und mit dem er schon seit 1859 ins Feld zog, nass bis auf die Haut, dreckig, todmüde, es gewagt ihm zu sagen: „Was für eine Leben müssen Sie führen, Herr Kavaleriest. Sie, der Sie ruhig in ihrem Palast in Turin sein könnten, mit den Füßen im Feuer!“ Der Kavallerist zuckte zusammen wie wenn ihn etwas gestochen hätte und gebot dem Sergeanten zu schweigen. Doch dann klopfte er ihm sanftmütig auf die Schulter: „ „Sag mir, wer hat mehr Besitztümer auf der Welt, ich oder du?“ „Na Sie natürlich. Ich bin ein armer Wicht.“ „Nun gut. Hätte ich dann in meinem Palast am Feuer sitzen können?  Dort ist meine Frau, mein  Sohn…  Höre, lassen wir diese Diskussion. Wenn mich eine Kugel getroffen hat, werde ich sagen:  Der Kavallerist ist zufrieden“. Der alte Sergeant erzählte, dass der Kavallerist Del Carretto ein sehr schöner junger Mann war. Nicht sehr tüchtig, aber stolz. Immer schweigsam und, bedingt vielleicht durch häusliche Angelegenheiten, unzufrieden.  In Cosseria zwischen den Ruinen seiner Burg, die seinen Ahnen gehört hatte, fiel er, getroffen von einer Kugel in die Brust, in die Arme seiner Grenadiere, von denen einige ihn schon kannten, seit er Kind war. Heute befindet sich dort ein Gedenkstein, der dort 1860 errichtet wurde. Dem Jahr in dem ich alles als Wiedererwachen wahrnahm. Dort wird von ihm, von Bannel, von Quesnel berichtet, französischen Generälen, früher Todfeinde.  Todfeinde, die heute auf dieser Höhe, wo ich in meiner Jugend hinging, um Onkel Toms Hütte zu lesen, wo ich, in Unkenntnis des großen Herzens, das dort ein halbes Jahrhundert vorher erloschen war,  weinte bei dem Angstschrei, der aus Amerika kam,  in sanftem Frieden neben einander ruhen. Ich wusste nicht, dass einer dieser Köpfe, der zwischen dem Brombersträuchen liegt, die sich um die verfallenen Mauern ranken, der schöne, melancholische und kühne Kopf dieses Kavaleristen sein könnte.  Der alte Sergeant hatte mir nichts von ihm erzählt. Eines Tages ritt ein preusischer General, schön über die siebzig Jahre alt, aus der Burg von Cosseria. Er tat dies dann nochmal drei oder vier Mal, versessen darauf in Erfahrung zu bringen, wie die Franzosen ihn haben angreifen können. Er hatte Bücher und Karten bei sich, alle mit Anmerkungen am Rand versehen.  Er fragte, suchte. „So wie die Dinge stehen“, sagte er, „scheint mir jener Angriff, so wie er in den Büchern beschrieben ist, eine Geschichte von wütenden Stieren.“  „Denk mal ein bisschen nach“, sagte man ihm später, „denk mal ein bisschen nach. Der eigentliche Angriff musste vom Norden aus erfolgt sein. Sie haben wohl bemerkt, dass der Anstieg von dort weniger steil ist, die Mauern der Burg dort niedriger sind, dass sie nur dort ohne Leitern überwunden werden konnten und dass Joubert genau da verletzt wurde, als er mit sieben der Seinigen ausbrach…denn von dort kam Joubert.“ „So muss es gewesen sein, sagte der Preuse, aber das erzählt die Geschichte nicht.“ „Doch man weiß, dass Joubert, am Abend des 12. April, kaum dass er von Montenotte zurückkam, zu Buonaparte geschickt worden war um den Hügel von Santa Margherita zu besetzen, der sich in umittelbarer Näher befindet…im Nord-Osten der Burg…“ Der Preuse  forschte weiter. Welche wertvollen Informationen könnte er ihm geben, wenn der Sergeant des Bataillons Del Carretto noch leben würde! Er erzählte, dass in der Nacht vom 12 auf den 13 April, nachdem die Niederlage der Österreicher in Montenotte bekannt geworden war, war  ein Schwadron das aus  der Armee von Colli zusammengestellt worden war, durch das Tal von Bormido von Millesimo nach Cengio marschiert, um sich mit dem in der Gegend von Dego zu vereinigen. Doch im Morgengrauen zappelte der Kommandant Povera, von den Franzosen links und rechts angegriffen,  in dieser engen Schlucht, im Rücken den Bormida (Fluss im Piemont), der plötzlich angeschwollen war und die und die Berge vor seiner Brust. Bezwungen sah er keinen anderen Ausweg als über die Gipfel von Cosseria und führte dort so viele seiner Männer hin, wie er konnte.  Zwischen diese Ruinen setzen sie sich fest, entschlossen dort bis zum Tod zu bleiben. Von dort sahen sie Dego, dass von den Österreichern  verteidigt wurde und rechts Montezemolo wo Colli lagerte, ein Dreieck, dessen herrlichen Gipfel sie besetzten.

Dieser Sergeant sah noch nach sechzig Jahre den französischen Parlamentär heraufkommen um die Forderungen Napoleons zu überbringen, wobei er die Fäuste ballte, wenn er davon erzählte. Ihm schien es, als könne er Provera hören, als dieser mit bescheidener und fester Stimme sagte, dass er sich nur unter der Voraussetzung bewegen würde, dass er frei sich mit dem Herr von Coli vereinigen könne.  Er versicherte, dass der Kavallerist Del Carretto ganz nah an ihn heranrückte, wie als ob er seinen Geist in dessen  Körper setzen wollte.   Buonaparte wäre gut beraten gewesen, ihm diese militärische Ehre zuzugestehen. Am Abhang dieser Burg festgehalten,  lief er Gefahr, Masséna nicht rechtzeitig zur Hilfe eilen zu können, wenn dieser ihn in Dego brauchte, wo er schon eingekesselt war. Doch er tat es nicht. Dies berichtet ein Priester, der als junger Mann anwesend war. Nachdem er die Antwort von Provera erhalten hatte, rief Buonaparte auf Italienisch: „Oh…er will Rampon imitieren? Nun gut…Kanonen!“ Nun fingen die Kanonen, von dem westlich der Burg gelegenen Gipfel an zu feuern.  Doch die Piemonteser antworteten nicht, denn sie hatten keine Attelerie. Ohne Attelerie, ohne Brot und ohne Wasser, eingeschlossen zwischen diesen brüchigen Mauern, hielten sie stand bis zum Abend. Die Sonne begann zu sinken als Augereau, von Napoleon, der nach Drego geeilt war zurückgelassen, befahl die Burg zu stürmen. Bannel, Quesnel und Joubert machten sich,  über die drei Ausläufer des Berges, die mit dieser Art Kegel, auf dem sich die Burg erhob, verbunden waren und ihm das Aussehen eines Dreibeins gaben,  auf sie zu umzingeln. Joubert rüchte von dem nördlichen Ausläufer an. Etwa auf halber Strecke machte er Pause, damit seine Soldaten sich ausruhen konnten. Bannel und Quesnel, die auf den zwei anderen Ausläufern vorrückten, sahen dies und hielten ebenfalls inne. Die Piemonteser, die glaubten dass dem Feind der Mut fehle , weiter nach oben vorzurücken, schrien vor Freude und begannen große Felsblöcke hinabrollen zu lassen, die noch ganz oben auf dem Berg an den Rändern zersplitternden und die Franzosen aufschlitzten und durcheinanderwarfen und in einer  Viertelstunde etwa Eintausend von Ihnen verletzten  oder töteten.  Zu der Tragödie kam der Hohn. Den am weitesten Vorgerückten der Angreifer wurden  wurden die Innereien eine Ochsen entgegengeschleudert, die dem Hunger derer abgerungen worden waren, die sie oben gegessen hätten. Bannel und Quesnel kamen hier zu Tode.

Joubert jedoch, der an einem flacheren Hang aufstieg, konnte bis zur Mauer vordringen und war schon mit sieben der seinen oben, als ein Stein ihn ins Gesicht traf und ihn tödlich getroffen zu Boden stürzen ließ. Jetzt setzte die allgemeine Flucht nach unten ein, bis an den Saum der Wälder. Oben frohlockten die Verteidiger über den letzten Ruhm.  Augereau ließ verbittert mit Fässern, Karren, Baumstämmen die Zugänge zur Burg verrammeln.  Auf der halben Strecke eines Gewehrschusses stellte er die Kanonnen auf.





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